
Per andare in Piazza della Giuggiola bisogna prima convincersi che essa esista, che qualche Beatrice dal cor gentile ti abbia detto o scritto che nel quartiere del Carmine, nascosta dietro una cortina di vicoli a difesa, c’è davvero questa piazza in miniatura, grande quanto l’ombra dell’albero secolare da cui deriva il nome e l’atmosfera di dolce disincanto che ti prende quando, sboccando dall’ultima svolta del vicolo omonimo, arrivi fino a qui, in un tempo tutto suo.
Si dice che l’albero di giuggiolo abbia oltre 500 anni, se è così, fu forse portato a bordo di qualche veliero proveniente dal Medio Oriente, magari dalla Siria, per far crescere anche sotto casa questo dispensatore a poco prezzo di delizie.
C’è da immaginarsi che da sempre la piazzetta assolva alla funzione di angolo di pace, aria buona, gente tranquilla, silenzio, riparo, riposo; i danesi chiamerebbero tutto questo hygge, i soldati romani che si esercitavano nel vicino campo militare di Hastato avrebbero forse usato il termine quies, la possibilità concreta di assaporare il gusto della vita liberata dal peso della guerra.
Si narra che in questo luogo vi fosse il tempio della prudenza, come fa pensare il nome di un vicolo poco distante, vico della Prudenza, prosecuzione di vico Valore.
Cos’è, alla fine, che dà valore alla vita? Il progresso, il successo, la vittoria, la conquista, il potere o forse, a ben guardare, il pensiero, il dialogo, la relazione? Se una qualche Beatrice ti ha condotto fino a qui è per farti capire che perfino in questo mondo frenetico di inizio millennio la quies è possibile e che non significa affatto resa, indolenza, ma lavoro, e rapporti umani restituiti a misura di persona.
Nel palazzo nobile che chiude la piazzetta, un laboratorio di maglieria testimonia con le sue creazioni la possibilità di una vita quieta; perfino le sfilate all’aperto, che scandiscono il passaggio delle stagioni e con esse l’opportunità di rinnovare il guardaroba, non hanno nulla a che spartire con le passerelle alla moda.
Qui il pubblico apprezza le nuove collezioni, sorseggiando un bicchiere di cortese e sgranocchiando un canestrello, piluccando una fetta di salame, un dado di formaggio, un’oliva, un quadrato di focaccia, aspettando pazientemente che alla fine spunti l’arbanella con dentro le giuggiole messe sotto spirito. Una sola per ognuno, che il vecchio albero ha dei limiti evidenti di capacità produttiva, tanto quanto basta per assaporare e fare nostra l’idea che tutto questo non sia una semplice illusione.